Estraneità e diversità, il nodo centrale dell'adozione
Pubblicato da DIRE - Notiziario Psicologia, Roma, 14 luglio 2015.
Estraneità e diversità sono il nodo centrale dell'adozione. "Due termini apparentemente inconciliabili. Due poli in continua tensione dialettica, che oscillano tra differenti domande: 'Quanto posso appartenere mantenendo la mia diversità e quanto posso sentirmi diverso mantenendo la mia appartenenza?'".
Ne parla alla DIRE Patrizia Conti, psicologa analista junghiana, impegnata nei Servizi Territoriali e nel primo servizio pubblico di mediazione familiare a Milano. "Le coppie che hanno un figlio biologico vivono spesso nell'illusione di essere al riparo da un 'non conosciuto perché nato da noi'- continua- invece il tema dell'estraneità riguarda tutti i genitori. Il figlio è un essere diverso ed è portatore di proprie esigenze. Questo passaggio emerge in modo chiarissimo con l'adozione: ci sarà sempre un pezzo della vita dei bambini a cui i genitori adottivi non avranno partecipato.
Ciò è doloroso, ma può diventare un punto di forza". Il problema della diversità somatica è "eclatante" nelle adozioni internazionali. "Qui è evidente- sottolinea il consulente tecnico d'ufficio in tematiche minorili per il Giudice- ci sono bambini che provengono da contesti ed etnie diverse da quella italiana: Africa, Sud America, meno per quelli dei Paesi dell'Est, più assimilabili e per i quali rischia di esserci questo 'glissare' su una differenza che rimane come rappresentazione nell'inconscio dei genitori perché è un dato di fatto". Anche le famiglie allargate "dovranno confrontarsi con questi temi". - Scuola, gruppi di genitori, gruppo dei pari, si può parlare di un nodo sociale? - "Nel sociale i genitori adottivi devono elaborare delle strategie per aiutare il proprio bambino a confrontarsi con questa differenza, sia verso gli altri che con loro stessi, figure privilegiate verso cui il minore è desideroso di assomigliare e di sviluppare un legame di appartenenza al 100%.
La differenza somatica è dolorosissima per il bambino". - Spesso le coppie genitoriali che adottano si sentono diverse, non comprese. Cosa accade a una famiglia che adotta? "Si sentono differenti per uno scacco generativo. Si confrontano con un lutto- ricorda la psicoanalista- con l'incapacità di generare. Nell'inconscio collettivo l'idea di famiglia è un presepe: la famiglia si compone di genitori e figli biologici, eppure dimentichiamo che San Giuseppe ha adottato Gesù". - Che ripercussioni ha la fecondazione assistita sulla domanda di adozione? "Per il post adozione incontro circa 20-25 nuclei familiari l'anno. La maggior parte ha già fatto un tentativo di fecondazione assistita.
È comprensibile il desiderio di avere un figlio proprio afferma il consulente- anzi può essere considerato saggio e adeguato, aiuta ad affrontare per gradi questo dolore. Cosa diversa è l'accanimento, di cui però sono solo una minoranza. Parliamo di statistiche cliniche di un'esperienza consistente, ma parziale". - Com'è l'iter delle adozioni in Italia? "Un iter molto lungo, faticoso e complicato", ammette l'autrice del libro 'Figli che trasformano.
La nascita della relazione nella famiglia adottiva' (Franco Angeli Editore). "Le coppie hanno ragione a lamentarsene, anche quelle che arrivano provati alla fine dei 5 o 6 anni di attesa, sono encomiabili. Nonostante gli sforzi fatti da alcuni servizi per ridurre i tempi, questi sono comunque lunghi". - Ha mai incontrato famiglie che abbiano rinunciato? "Forse una in 15 anni", risponde la terapeuta.
- Che consiglio darebbe ad una coppia che si accinge a fare domanda di adozione? "Informarsi tantissimo, contattare le altre famiglie e rivolgersi agli specialisti per una consultazione preventiva libera e soft. Le famiglie hanno una ricchezza di esperienza enorme ma, come ogni genitore,- conclude Conti- seguono le tappe del bambino e le difficoltà una volta superate si stemperano. Bisogna unire entrambe le cose".