La coppia nell'adozione

Pubblicato in Minori e giustizia, rivista interdisciplinare di studi giuridici, psicologici, pedagogici e sociali, Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e per la famiglia, n. 4/2017, Ottobre 2017.

Premessa

Pochi sono i presupposti che posso definire e ritenere saldi, quasi inconfutabili, tratti dalle riflessioni che una lunga pratica clinica mi ha permesso di maturare. Uno è che la genitorialità è una dimensione prettamente e squisitamente simbolica, che appartiene pertanto a qualsiasi individuo che abbia o meno figli. Assai diversi infatti possono essere gli ambiti, i contesti e i terreni in cui si declina quella che ritengo possa essere a buon diritto definita una specificità del tutto particolare dell'essere umano: prendersi cura di un altro da sé e assumersi la responsabilità di accompagnarlo per il tratto più delicato e importante del suo percorso esistenziale. La genitorialità adottiva non fa eccezione, ma con sue specifiche particolarità.

Un secondo presupposto è che la relazione di coppia costituisca una chance individuativa preziosissima all’interno del cammino che l’individuo compie alla ricerca di se stesso e della propria realizzazione, entro l’umana esigenza di esprimersi e di creare, di porsi e raggiungere obiettivi, di intessere e vivere relazioni.

Detto questo, iniziamo dalla genitorialità. Pur negli evidenti cambiamenti insorti negli ultimi decenni e che hanno investito e diversificato il modo di vivere e sperimentare gli affetti familiari e personali, restano osservabili una serie di elementi comuni tra le diverse forme e i diversi modi di essere genitori, mentre alcuni che appartengono esclusivamente alla genitorialità adottiva restano ancor più specifici.

Ampia è ormai la letteratura che tratta le dinamiche riguardanti il bambino adottivo, coprendo anche quanto e come i genitori adottivi si ritrovano ad affrontare, sia nelle fasi che precedono l’arrivo del bambino che in quelle immediatamente successive. Altrettanto ampia resta la letteraura sulla psicologia della relazione di coppia, su cui è stato scritto moltissimo e da prospettive teoriche e cliniche differenti. Nonostante la prolificità di entrambi i filoni di ricerca, ben poco e solo in forma di articoli, si trova se si vuole approfondire l’interazione di queste due dimensioni: la relazione di coppia all'interno della dinamica familiare adottiva.

Dimensione, quella della relazione di coppia, peraltro molto indagata nel corso della valutazione che, su mandato del Tribunale, gli operatori dei Servizi compiono, e che ricade paradossalmente nell’ombra quando la genitorialità adottiva deve predendere concreta forma a partire proprio da quella stessa coppia. Bisogna pur dire che negli anni immediatamente successivi all’ingresso del bambino nella famiglia adottiva, è talmente predominante la dimensione di ricerca dell’attaccamento reciproco, in tutti e tanti i suoi aspetti, che la coppia ricade quasi necessariamente in secondo piano. Salvo non emergere talvolta drammaticamente nelle pieghe del processo tutto in divenire di accompagnamento alla formazione ed educazione del bambino, e solo in momenti successivi.

Per quanto riguarda, dunque, come la relazione di coppia si snoda all'interno della progettualità adottiva nei diversi momenti e passaggi, resta difficile trovare riferimenti che possano aiutare il pensiero clinico. Sì perché poi è nella clinica, cioè nell'incontro concreto con i genitori adottivi alle prese con il bambino da loro adottato che potrebbero essere decisamente utili dei punti di riferimento, per aiutare i genitori che chiedono aiuto. Elementi utili ad affrontare passaggi sovente anche piuttosto critici, che, pur dovendosi considerare, per molti versi, come fisiologici, rischiano però, se non colti né accompagnati, di avere esiti drammatici e dolorosi, ad alto costo esistenziale per il bambino innnazitutto, ma poi anche per igenitori. Non è, purtropppo, raro, infatti, il sopraggiungere di una crisi di coppia e una successiva separazione, che assumono, nel caso della famiglia adottiva, connotati ancor più problematici di quanto già normalmente e abitualmente accada per qualsiasi famiglia. O meglio, per qualsiasi bambino, perché la problematicità più importante è proprio quella che riguarda la concretizzazione dei fantasmi di perdita e abbandono che, questi sì, mai lasciano il bambino adottivo.

Ecco che allora può essere utile raccogliere qualche idea tratta dalla lunga pratica di consultazione sia nel post adozione (programma di incontri regolari a scopo prevalentemente preventivo nel corso dei primi 2 anni di adozione), sia nel prosieguo del percorso adottivo nei diversi importanti stadi evolutivi che possono portare i genitori a chiedere un intervento specialistico.

Come dice Cirulnick, non è il solo tempo a sanare il trauma riducendone gli effetti sull’esistenza del soggetto, ma è la qualità di questo tempo. E allora mi rendo conto di aver pensato immediatamente di ripartire i diversi passaggi delle mie riflessioni scandendo i paragrafi così come si scandisce il tempo di queste delicate consultazioni: il , il durante, il dopo…

Tempo, quello cui si riferiscono, pieno di accompagnamenti attenti e dedicati, non solo specialistici, ma spesso anche solo preziosamente familiari.

1. Il prima

Senza addentrarci nella psicologia della coppia, come si forma e su quali elementi poggia l'avvio della relazionalità duale e quali fasi poi attraversa, è utile partire da un aspetto che accomuna comunque il progetto genitoriale, che sia biologico o adottivo. La transizione dalla coppia “coniugale” (intendendo con questo termine la relazione tra i due partner in qualsiasi forma sia giuridicamente declinata) alla coppia “genitoriale” è un processo molto delicato, che vede snodarsi parallelamente molti altri percorsi tematici individuali, entro e a latere rispetto alla dimensione di coppia. Vi sono senz’altro alcuni punti fermi, senza i quali la coppia coniugale di fatto non riesce ad accedere a una progettualità genitoriale stabile e delineata.

Infatti, la sfida che si pone per accedere alla dimensione di coppia genitoriale consiste essenzialmente nel riuscire a ‘pensar(si)’ in uno spazio (mentale e fisico) che contempli il terzo, prolungando e modificando in modo totale la dualità di partenza. Sfida di fatto già in parte compiuta al superamento dell’uno nella costituzione di un ‘due’. Si deve a questo punto però distinguere la generatività come dimensione creativa della coppia, che non necessariamente porta alla generazione concreta di un bambino reale, dalla genitorialità come dimensione psichica, quale assetto mentale con prevalenti connotazioni di qualità affettiva. Solo quindi nella generatività che poi si dispiega nella generazione concreta, biologica, adottiva e affiliativa, torna quale elemento centrale il terzo. E ancora una volta, ovviamente, questo non è la somma delle due parti, ma un dato a sé stante con cui le singole parti devono rapportarsi, facendovi i conti.

Si ripropone quindi nel passaggio alla genitorialità il compito indispensabile di far affiorare le famiglie interne, il complesso di credenze, valori, modelli, principi educativi, nonché aspettative e mandati, ma anche figure e schemi relazionali familiari interiorizzati, che si agitano nel singolo e che non necessariamente nella fase di costruzione della relazione di coppia vengono affrontati. Nella relazione genitoriale che si sta profilando, il compito è quello di reperire e creare nuove modalità di relazione duale, mentre si riattivano gli schemi della relazione di coppia internamente formatasi in base all’esperienza individuale di ognuno dei partner. Questa dinamica è la base per la costituzione della nuova dimensione della coppia genitoriale, premessa indispensabile perché la generatività possa divenire un fenomeno psichico con valenza simbolica.

E se per ogni coppia il passaggio alla genitorialità è, di fatto, un processo complesso, per quella coppia che poi si volge all’adozione lo è ancor di più, e per ragioni del tutto specifiche.

L’elemento che distingue nettamente e radicalmente la transizione alla genitorialità nelle coppie che poi si orientano verso quella adottiva consiste, infatti, nel dover prender atto e poi confrontarsi apertamente con la mancata procreazione biologica. La défaillance generativa, che inevitabilmente l'accompagna, suscita sorpresa, causa dolore, richiede attenzione, comporta decisioni. Tutto questo rimane sempre un nodo centrale, sia che la coppia decida di ricorrere a tecniche di fecondazione assistita, (per quanto tempo? per quanti tentativi?), sia che vi rinunci in principio o in itinere; rendendo indispensabile e necessario il passaggio risolutivo del lutto di una mancanza de facto. E ciò non solo a livello individuale ma forse soprattutto come coppia legata da un progetto che si scontra con l’impossibilità di accesso a una trasformazione attraverso la triangolazione con un figlio.

Questo dato non solo determina la scelta adottiva, ma poi anche mantiene, per tutto il corso seguente del suo farsi concreta, una pregnanza estremamente intensa da un punto di vista affettivo, con riflessi su tutti gli aspetti emotivi e relazionali della coppia e poi anche del figlio. I gradi e i modi in cui questo nodo centrale, su cui di fatto si erige tutta l'impalcatura della genitorialità adottiva, viene affrontato e gestito all'interno della dinamica relazionale di coppia influenza ovviamente qualsiasi successiva evoluzione, influendo analogamente sulle modalità in cui le fisiologiche crisi ed altre che possono affacciarsi, possono essere affrontate dai due partner innanzitutto come tali, ancora prima che come genitori.

Nelle fasi di accompagnamento del bambino adottivo, in quelle che lui affronta e con cui deve confrontarsi, infatti, torna periodicamente questo elemento, e, potremmo dire, a prescindere dall'età anagrafica e dall'età adottiva, considerando come quest'ultima sia composta da una combinazione del tutto particolare di fattori, quali l'età anagrafica, l'età dell'abbandono, l'età dell'inserimento in istituto, l'età dell'abbinamento, l'età dell'incontro, l'età del grande cambiamento.

2. Il durante

Intendo riferirmi a quel periodo in cui, una volta assestata la progettualità genitoriale e oramai indirizzata verso la scelta adottiva, la coppia si predispone ad affrontare quel periodo, lunghissimo e assai impegnativo, di raccolta di informazionei sull’adozione e su come realizzarla. Si tratta di approfondire le varie tematiche connesse in momenti formativi e informativi, in un processo di elaborazione delle diverse numerose tematiche che via via scaturiscono anche nel mentre le informazioni vengono raccolte, oppure proprio grazie a queste.

n questo durante, la coppia si confronta nei modi che le sono specifici, cioè secondo il proprio stile e la propria cultura di coppia, dovendo fare i conti in primis con le modalità individuali di affrontare tematiche di entità e natura del tutto nuove, specifiche e particolari (quali quelle dell’abbandono e del trauma), che fino a quel momento non sempre e non necessariamente si sono affacciate, e per le quali di conseguenza la coppia non ha maturato una modalità condivisa di coping. Tematiche intrinsecamente ad alto potenziale di disorientamento e destabilizzazione, anche a causa dell’attivarsi di specifiche diverse modalità e diverse sensibilità in ciascuno dei partner, in relazione a temi che possono risuonare in uno maggiormente che nell'altro, o determinare nell'uno un'eco emotivamente più pregnante che nell'altro, anche in ragione di elementi biografici particolari.

Si tratta di un processo in cui vengono riversate non solo delle informazioni e dei dati conoscitivi, bensì soprattutto i pensieri che tali informazioni e tali dati conoscitivi muovono. Proprio su queste prime riflessioni, individuali e condivise si inanellano poi altri pensieri, rischiando di produrre una circolarità avvertita dalla coppia come limitante, poiché frustrante, e magari sottovalutata nel suo potenziale trasformativo, quello di far raggiungere comunque un ulteriore stadio di elaborazione. Elaborazione che, pur avvenendo anche e in parallelo nella mente di ciascuno dei due partner, di fatto trova modo di riversarsi comunque nella mente di coppia, costituendo quello che diventa un patrimonio conoscitivo affettivo ed emotivo di esperienze, e non solo di conoscenza, della coppia nel suo insieme.

Tutto questo processo richiede impegno, produce fatica, comporta ansia… insomma si configura come un passaggio assai laborioso, ma porta, il più delle volte, a un consolidamento e approfondimento ulteriore della relazione di coppia e del suo patrimonio comune, come nella genitorialità biologica ben difficilmente con regolarità ha luogo. La riflessione si sviluppa e si affina, il dubbio si fa elemento regolare e costante, la discussione e il confronto si rendono necessariamente frequenti e ricorrenti. La conoscenza reciproca nella sua componente di solidarietà e alleanza viene messa alla prova ripetutamente, a fronte della necessità di ulteriormente armonizzare modalità squisitamente individuali di vivere e poi affrontare interrogativi e questioni, così come via via sorgono in questo periodo, che richiedono analisi e approfondimenti specifici e particolari. Esito è, se il processo fluisce, un consolidamento degli investimenti affettivi e della progettualità che su di essi si è basata e che ora si è progressivamente articolata, affinata, approfondita.

Fa parte di questo periodo anche l'iter strettamente burocratico, che prevede passaggi di grandissimo impatto emotivo, tanto da determinare inevitabilmente l’avviarsi di tensioni all'interno della coppia in relazione al processo di valutazione da parte degli operatori su incarico del Tribunale per i Minorenni, una volta presentata la domanda, e poi all'incontro in tribunale qualora si tratti di una domanda di adozione internazionale. Nel caso di una esclusiva domanda di adozione nazionale, quest’ultimo momento si costella successivamente, quando la coppia viene chiamata ad approfondimenti che possono preludere ad un abbinamento adottivo.

Inevitabili tensioni allora si creano nella coppia, e a tratti anche piuttosto intense. Tensioni che, se ben gestite (ma non sempre è facile farlo!), portano a un ulteriore consolidamento e radicamento della propria convinta progettualità messa in comune, oltre che a un importante approfondimento delle tematiche adottive, in un processo di affinamento di conoscenze e di raffinamento di competenze. In questo lungo periodo la coppia vive con un “terzo” incombente, il bambino desiderato, la cui presenza è costantemente confermata e rinnovata, ma che di fatto è assente, incorporeo, solo e difficilmente immaginabile e immaginato, di certo ben difficilmente definibile in un qualche modo.

Questo processo solitamente porta, se riconosciuta l'idoneità della coppia, ad un’ultima fase di questo “durante”: la ricognizione degli enti, la scelta dell'ente e i contatti con quello scelto, la fase di preparazione della documentazione una volta individuato il Paese e avviate le pratiche per realizzare l'adozione in esso.

3. Il durante del primo dopo

Si tratta di un periodo particolarmente delicato che vede la coppia confrontarsi, a questo punto, da un lato ancora in modo del tutto immaginale, ma dall’altro con un crescendo di concretezza che si costruisce progressivamente, sulla base delle informazioni che via via giungono e le notizie che man mano accumula: il bambino comincia a delinearsi in una sua possibile, non più futuribile concretezza anche fisica, corporea, somatica, culturale, etnica, storica ….

L'attesa del perfezionamento delle pratiche necessarie all'individuazione prima e abbinamento poi, e successivamente ancora della programmazione della partenza per il paese finalizzata all'incontro, appaiono catalizzare completamente la tensione della coppia, rischiando di far percepire come quasi priva di importanza una quotidianità in cui, in realtà, continuano entrambi a riversare una gran parte di energie vitali e psichiche, di investimenti emotivi e affettivi. Quella quotidianità continua sempre ad essere composta dei diversi ambiti in cui si declina e si articola la progettualità individuale e di coppia, e in cui, seguendo un corso ormai consolidato, tutta una routine si ripete giorno per giorno.

La mente di ciascuno e di entrambi si volge tuttavia ora sempre più frequentemente altrove, a quell’altrove che si è delineato, e anche questo può generare tensioni nella coppia, nel faticare ad affrontare i normali inciampi, i normali imprevisti, le normali difficoltà di cui la quotidianità si compone. L'attenzione appare doversi focalizzare esclusivamente su questo bambino, non più fantasma della notte, figura di sogni più o meno desti; ma bambino che comincia ad acquisire nella sua perdurante assenza fisica una concretezza estremamente densa. In questo lungo periodo, la coppia vive con un “terzo” ormai fattosi presente e anche piuttosto incombente, ma ancora assente fisicamente, con un “corporeo” non ancora conosciuto.

Potrebbe apparire una fase piuttosto vitale e vivificante, e per certi versi lo è: d'altro canto, sotterraneamente, è un passaggio che può generare delle grosse tensioni, sia individuali che di coppia, in quanto le modalità in cui tale punto focale viene gestito nel quotidiano da ciascuno dei partner possono essere anche molto diverse e finire per instillare dei dubbi reciproci rispetto alla tenuta del progetto, oppure delle preoccupazioni e delle ansie rispetto a quelli che saranno i modi reciproci di affrontare le problematiche, per ora delineatesi solo nella mente di ciascuno dei partner, appartenenti a quel bambino nel momento in cui sarà con loro.

È forse in questo periodo che ciascuno dei partner tocca con mano una specificità di strategie nel fronteggiare situazioni per il momento ancora immaginate, ma che cominciano ad avere una concretezza maggiore rispetto a quelle di prima. Un prima ora valutato come privo di quella specifica consistenza che il pensiero di un bambino che aspetta al di là dell'oceano, o di montagne, a migliaia di chilometri, di fatto inevitabilmente presentifica. Ma anche se non ci sono né montagne, né oceani, ma “solo” la distanza, breve?, di una cittadina, di una regione. E nel momento una una chiamata in Tribunale, di un colloquio, dell’aprirsi della prospettiva di un abbinamento (nel caso di adozione nazionale), il bambino inizia a prendere una dimensione po’ più concreta.

4. Il mentre

Il pensiero del momento dell'incontro è forse quello più fortemente destabilizzante in termini emotivi, e ben comprensibilmente!, e così deve essere per ciascuno ed entrambi i partner, che sente di essere sul punto di diventare veramente una coppia genitoriale, ma che fantastica di non riuscire ad esserlo nei modi adeguati, o almeno quelli che pensa sempre più intensamente debbano essere adeguati a quel bambino che si appresta ad conoscere.

All'incontro solitamente, se tutto va complessivamente bene, (e per “bene” si deve intendere compresa quella serie di manifestazioni di disagio, di angoscia, di pianto, di rifiuto, di provocazione che il bambino adottivo può manifestare nei confronti di quelle due figure adulte sconosciute che gli si presentano come suoi “nuovi genitori”), la coppia giunge complessivamente coesa e unita, capace di sostenersi e di scambiarsi i ruoli in relazione alle necessità percepite nel bambino e in un determinato specifico momento.

Soprattutto quando prevalgono nel bambino manifestazioni di qualità positiva, e l’incontro appare declinarsi nei modi fluidi che la pur intensa emotività circolante consente, la coppia ne esce rinforzata, confermata, rinsaldata e avvalorata nella propria capacità, per il momento almeno, di far fronte a quel piccolo essere che deve imparare a conoscere. Nel momento del rientro presso l'abitazione e il luogo di vita della coppia, che a quel punto diventano un luogo e una casa familiare, comprendendo oramai anche il bambino, segue un periodo definibile, così come in letteratura appare, “luna di miele”. Periodo “magico” in cui, nonostante le difficoltà a conoscersi e a comprendersi, o eventuali necessità di cura, la spinta motivazionale a stabilire legami di attaccamento è molto forte da parte di entrambi i protagonisti, i partner della coppia da un lato e il bambino dall'altro.

La coppia si sperimenta molto coesa e unita proprio nel riuscire ad affrontare le progressive difficoltà, ricorrendo alle differenze individuali, avvertite, in questa prima fase, come utili nell'accogliere le manifestazioni del bambino. Possono esser infatti diverse la sensibilità ad alcune sue espressioni non semplici da interpretare, oppure le diverse gradazioni e declinazioni dell'ansietà suscitata da alcuni comportamenti, o ancora le modalità reattive ad alcuni atteggiamenti del bambino.

Anche in situazioni in cui emergono delle problematiche piuttosto importanti, o di salute o per la presenza nel bambino di disturbi post-traumatici, la coppia riesce, a volte meglio a volte meno bene, a mantenere una propria coesione nell'affrontare tutti gli aspetti non ancora noti che, pur ingenerando preoccupazione e ansia, mantengono viva la motivazione ad affrontarli e a venirne a capo.

5. Il primo dopo

Giungiamo al momento in cui, passati grossomodo i primi due anni, la famiglia, e in particolare la coppia divenuta stabilmente genitoriale, può sperimentare il raggiungimento di equilibri relazionali ed esistenziali sufficientemente positivi, fonte di soddisfazione per tutti i componenti.

Non si deve però pensare esclusivamente ad aspetti positivi, quali manifestazioni esplicite di un attaccamento che progressivamente si rinforza e rinsalda, ma anche alle manifestazioni preoccupanti e destabilizzanti di segni traumatici, che fisiologicamente non possono reperire un loro contenimento e un loro annullamento in un solo paio d'anni. La coppia genitoriale pare però essere riuscita a trovare i modi, le strategie, i pattern comportamentali per affrontare i momenti critici che oramai non sono più inaspettati e vissuti come improvvisi e sconvolgenti, ma riescono ad essere anche previsti, e pertanto possono attivare delle strategie ad hoc che rinforzano la percezione di una propria adeguatezza genitoriale. Pur se non si è del tutto annullata, una preoccupazione di fondo relativamente alle successive ulteriori trasformazioni che nuclei tematici, non necessariamente traumatici ma specificatamente adottivi, dovranno ancora avere, può permanere, senza però necessariamente interferire nella quotidiana gestione dei momenti di vita familiare. Interferenza evitata a questo punto proprio grazie alla maturazione avvenuta della propria competenza genitoriale, come la positività della relazione col bambino conferma. In questa fase, possono emergere da parte dell'uno o dell'altro, (raramente l'esperienza clinica suggerisce in entrambi in contemporanea, ma questo vale per qualsiasi coppia genitoriale passati i primi due anni di piena concentrazione in un accudimento che richiede energie fisiche e mentali ad entrambi i genitori), nei modi e tempi legati all’impegno professionale e alle progettualità individuali, ma anche agli stili esistenziali e culturali di ciascuna famiglia, delle esigenze volte a riprendere un discorso squisitamente di coppia, nel prendere consapevolezza di quanto e come sia stato tenuto in sospeso, non solo dal momento dell'incontro e del rientro con il bambino, ma già in quella attesa antecedente l'incontro che, come abbiamo visto, ha focalizzato qualsiasi attenzione della coppia sul piccolo.

Il momento è piuttosto delicato, perché i bambini, a prescindere dalla loro età e dall'età in cui è avvenuta la loro adozione, in genere non colgono mai favorevolmente questi movimenti, che possono comprensibilmente sollecitare fantasie di perdita, colorate da angoscia. Il bambino avverte immediatamente e acutamente questi movimenti centrifughi, percependo prontamente anche un leggerissimo spostamento dell'attenzione da sé a quel nucleo duale di cui ha sperimentato l’attenzione, fino a quel momento quasi esclusivamente centrata su di sé. Momento questo, delicato per qualsiasi bambino, ma che per il bambino adottivo lo è ancor di più, in ragione della ben comprensibile angoscia di perdita che costella il suo immaginario e il suo mondo affettivo interno, sulla base di un'esperienza reale che teme possa riprodursi incessantemente, nonostante quella quota di sicurezza esistenziale raggiunta grazie all'adozione. Le strategie dei bambini volte a rendere difficile, se non a impedire questi movimenti centrifughi della coppia, possono giungere a demotivare il genitore che meno avverte questa esigenza ad andare incontro a quella espressa dall'altro, oppure demotivare chi l'ha avvertita in primis conducendolo a rinunciare a portarne avanti la concretizzazione.

Vi sono però altre situazioni piuttosto frequenti, anche se meno fisiologicamente presenti delle altre di cui è stata delineata, seppur in modo sintetico, la dinamica evolutiva, in cui precise dinamiche psichiche si sono avviate in uno o nell'altro dei componenti la coppia, più spesso nella figura della madre in relazione a tematiche individuali che riemergono, come sempre accade, negli snodi evolutivi importante della persona, quando deve accedere a successivi e diversi livelli individuativi.

Se ciò avviene all'interno di una relazione di coppia, non può non ingenerare tensioni parallele e analoghe anche nell'altro, che nella relazione è completamente coinvolto. Mi riferisco in particolare a delle dinamiche di natura fusionale o/e simbiotica che il bambino adottivo, proprio perché portatore di una sua storia specifica di abbandono, può andare a sollecitare nella figura materna, elicitando dei nuclei di tale natura non pienamente, né compiutamente risolti nella madre adottiva. Mi è capitato di osservare questa dinamica anche nelle figure paterne, ma in misura meno frequente, e comunque con decorsi ed evoluzioni meno complessi, o sfavorevoli.

Questo movimento, indice nel bambino di un legame di attaccamento che sta recuperando e riparando esperienze non vissute o vissute solo in parte e non adeguatamente, se colto e mantenuto in una risonanza di tenore e durata elevati, comporta una focalizzazione sullo stesso e sulle sue esigenze che va ben oltre il primo necessario e inevitabile periodo della creazione del legame adottivo. La direzione che la mente di uno dei due genitori prende, comporta però anche inevitabilmente la difficoltà da parte dell’altro a porvi rimedio, nel cercare e poi riuscire a inserire agenti di trasformazione utili a far evolvere la relazione genitore bambino, e al contempo le relazioni familiari, non da ultimo quella di coppia. Si mantiene, pertanto, una focalizzazione eccessiva sul bambino e sui suoi bisogni, spesso supposti essere di esclusività, anche aldilà di quanto il bambino completamente non richieda. La frequenza di tali situazioni è più elevata con bambini adottati da piccoli, ossia entro i primi tre anni di età e fino a metà del primo periodo di inserimento nella scuola dell'obbligo. L'impegno dei genitori, se prima è destinato all’accudimento esclusivo, nella tensione a riparare gli strappi patiti dal bambino e a riempire i vuoti del suo passato, diventa poi, con l'inserimento scolastico, un carico enorme nell'aiutare il bambino ad affrontare delle richieste che acutamente avverte, a cui spesso non è completamente preparato e verso cui manifesta dei disagi che affondano le loro radici in elementi post-traumatici, comunque coerenti con il trauma dell'abbandono e con un primo periodo di sviluppo non sufficientemente confortato da cure e stimolazioni adeguate. La scuola assorbe non solo le attenzioni del piccolo, ma anche quelle dei genitori, della madre innanzitutto.

Si possono inserire poi anche altri fattori, ulteriori motivi di disarmonia e dissonanza nella coppia. Mi riferisco alle diverse scelte professionali, con la figura materna che decide di rinunciare in parte e temporaneamente, o completamente, alla propria realizzazione e al proprio impegno in campo professionale, e a quella paterna che al contrario vi immette ancor più impegno ed energie, a creare una spesso necessaria compensazione. Oppure le diverse progettualità in campi diversi da quello familiare, impegno con la famiglia d’origine, o passioni, possono determinare diverse proporzioni nel tempo e nello spazio che ciascun genitore dedica al bambino e alla famiglia. Questo può avvenire soprattutto quando, dopo il primo periodo di costruzione del legame, la famiglia entra in una condizione di riconquista della routine quotidiana, pur ora diversamente articolata. Possono allora affiorare sentimenti di invidia (per chi si dedica maggiormente al bambino da parte di chi sente non poterlo fare anche se vorrebbe), oppure sentimenti di delusione e di rivendicazione (di chi si aspettava una collaborazione e un coinvolgimento diverso dal partner che viene valutato come meno coinvolto o meno disponbile ad assumersi responsabilità e carichi), oppure sentimenti di esclusione e di marginalizzazione (di chi si vive o si osserva come reputato meno importante o primario per il bambino verso chi fa pesare un proprio opposto peso privilegiato).

Al termine del primo, il più delle volte lungo, periodo di grande e continuativa dedizione al figlio, in cui appare non esserci altro che il bambino e solo il bambino, può emergere, da parte di uno dei partner della coppia coniugale originaria, che appare un po’ essersi ormai persa come tale, un malessere e una sofferenza che lo portano ad allontanarsi, o ad investire progressivamente di meno sul nucleo familiare, spesso inducendo il partner più teso all'accudimento esclusivo a mantenere quel legame di qualità simbiotica, e anzi a rafforzarne l'intensità e l'entità, avviando così un circolo vizioso che porta frequentemente a vere e proprie crisi coniugali.

Crisi che diventano però immediatamente crisi familiari, e qui si colloca una differenza con le famiglie non adottive. Per quanto riguarda la famiglia adottiva è inevitabile che nella mente dei genitori entrambi, sia in quella del partner portatore di un'esigenza di differenziazione e diversificazione della propria esistenza sia in quello totalmente focalizzato sull’accudimento del bambino, giochi un ruolo fondamentale la consapevolezza del dato adottivo, ossia l'angoscia drammatica di rischiare di far vivere al bambino nuovamente una situazione estremamente destabilizzante, quella di una nuova rinnovata rottura della continuità esistenziale, proprio quando il bambino ha iniziato ad imparare a fidarsi di una continuità familiare preziosa per il suo sviluppo, ma essenziale per la riparazione dei suoi traumi. Non si vuole intendere che per dei genitori non adottivi il pensiero dei figli all'interno di una crisi separativa non si ponga, o non si ponga in modo così drammatico, si vuole però sottolineare come per i genitori adottivi la consapevolezza che il figlio sia stato già danneggiato, e ampiamente, dalla vita per una separazione esitata in un abbandono costituisce elemento di sofferenza acuta e profondissima. Elemento che spesso può motivare però, e questo può essere un aspetto positivo, ad affrontare la crisi di coppia cercando di ritrovarne delle motivazioni e delle intenzioni individuali e specifiche che possano permettere di riprenderne la significatività.

La lunga esperienza come consulente del Giudice, oltre che come consulente di coppia e per la genitorialità, non mi sostiene né supporta un minimo di conforto nel circoscrivere la preoccupazione quando a separarsi è una coppia adottiva. Né contiene, tanto meno elimina, il dispiacere, ma anche una vera e propria condivisione del dolore, non solo per il fallimento della progettualità personale e familiare, ma anche forse soprattutto per il fallimento di una speranza donata ad un bambino nato sfortunato e che si teme possa tornare a esserlo.

Cercare di aiutare i genitori adottivi a mantenere uno sguardo, talora pur anche un po’ distratto, ma comunque sempre presente e sempre pronto a tornare presente e vivace, alla propria relazione di coppia, può (o meglio dovrebbe!) essere un importante obiettivo nell’aiutarli e sostenerli anche come famiglia nel suo complesso. Sostegno che deve anche fondarsi nell’intenzione esplicita di aiutarli a non dimenticarsi di una sfera loro personale e di coppia che viene, e giustamente, messa da pare e sospesa nei primi lunghi anni di inserimento del bambino nel nucleo e nella complessa opera di accoglimento e contenimento degli esiti del trauma adottivo, sia di quello legato all’abbandono, sia quello dovuto al radicale cambiamento esistenziale vissuto con l’inserimento adottivo.

Pensando alla coppia adottiva, mi colpisce sempre come si affacci immediatamente il pensiero di come e quanto, nel rivolgersi all’adozione, i partner condividano esperienze, vissuti, pensieri, riflessioni, ansie e preoccupazioni, insomma tutto ciò che costella e compone la progettualità generativa, resa complessa da limiti imprevisti e imprevedibili. Questo essere interpellati subito come "coppia", sembrerebbe poter rappresentare come un destino, dall’inzio alla fine. Fin dall'inizio i partner si ingaggiano insieme nel progetto e affrontano tutte le difficoltà e le ricchezze dell'esperienza, facendo del bambino la loro avventura, il nodo e la cifra della loro unione. Dovrebbe essere questo un elemento che le rende più flessibili, più plastiche, meno soggette a crisi.

Ma è davvero un “collante”, o comunque un fattore protettivo? Aiuta la coppia a preservare un desiderio "altro", rispetto al bambino e al progetto adottivo? E se la relazione di coppia si costituisce proprio solo e quando i due individui hanno la possibilità di passare al terzo della relazione (nella coppia uno più uno non fa due, bensì tre!), il passaggio alla dimensione genitoriale implica la trasformazione di questo terzo, che non può più permanere in una dimensione esclusivamente psicologica, e pertanto simbolica, ma deve potersi anche incarnare in un individuo concreto. E se questo passaggio al “terzo” concreto, reale in carne ed ossa, il bambino, passaggio compiuto esclusivamente in coppia, facesse perdere di vista o offuscasse, o vi si sovrapponesse, quel “terzo” della relazione, presente fin dal nascere della relazione duale, a vantaggio esclusivamente di quel terzo concreto su cui entrambi i componenti della coppia convergono una concentrazione esclusiva? E se l’occuparsi prioritariamente, scivolando quasi sempre e per un lunghissimo periodo, nell’esclusivamente, delle ferite originarie che il bambino porta dentro di sé, non sollecitasse forse troppo lo sguardo inconsapevole al bambino interiore presente in entrambi i genitori, che, pur non portatori della ferita estrema dell'abbandono, conservano ferite simili di perdite e delusioni, trascuratezze e mancati ascolti, come spesso si pongono alla base della motivazione alla scelta adottiva rispetto ad altri modi di realizzare il progetto genitoriale? E se il vuoto delle origini finisse comunque per costituire fattore di potente risonanza dell'analoga ferita del vuoto della mancata generatività biologica, pur elaborato, di cui nell'urgenza della costruzione del legame finisce per farsi ed essere messo da parte, ma che poi alle soglie dell’adolescenza del figlio torna a farsi prepotentemente sentire?

Su questi interrogativi, che mi colgono sempre quando ho notizia della crisi separativa di una coppia adottiva, mi fermo, poiché sento siano necessarie ulteriori riflessioni, perché un pensiero possa esser completo al punto da diventare una evidenza. Per il momento mi accontento di partecipare con tutto il pensiero, la competenza, la vicinanza e l’empatia possibili a quei genitori adottivi che si chiedono come affrontare il dolore del loro bambino nel momento in cui non riescono più a rintracciare, e pertanto a vivere, il senso del loro progetto familiare condiviso al cui interno di inscrive quello adottivo. Ma anche a tutti quei genitori che per tempo e in tempo chiedono aiuto a capire il disagio affiorato nella loro dimensione di coppia e a porvi rimedio. Per tempo e in tempo.

Avanti
Avanti

La clinica in contesti non clinici: la Consulenza Tecnica d’Ufficio