Mediazione familiare e intervento mediativo
Pubblicato in Minori e giustizia, rivista interdisciplinare di studi giuridici, psicologici, pedagogici e sociali sulla relazione fra minorenni e giustizia, III trimestre, 2006, Franco Angeli, Milano.
1. La mediazione: breve excursus storico
La mediazione e la figura del mediatore esistono da sempre, poiché da sempre l’uomo entra in conflitto con i suoi pari.
A seconda delle epoche, dei costumi e delle società, la figura preposta a mediare le situazioni di tensione e conflitto ha assunto caratteristiche diverse. Nell’antichità e tuttora al giorno d’oggi, nelle realtà non occidentalizzate (tribù africane, comunità asiatiche o indiane, ad esempio), il mediatore si incarna della figura del saggio, della persona più anziana o della persona più autorevole, quale il capovillaggio. Può viceversa ricoprire una carica religiosa ed essere uno stregone o un maestro nelle arti magiche e divinatorie. Anche nelle tre religioni monoteiste le figure ecclesiastiche hanno tipicamente, nel corso dei secoli, svolto un ruolo di pacificatore all’interno della comunità.
Generalmente, il mediatore è un personaggio di spicco all’interno della sua comunità, di elevato rango e status sociale, di cultura superiore e di riconosciuta esperienza e saggezza.
Una figura super partes, a cui i contendenti si possono rivolgere nella disputa di una contesa, fiduciosi in una sua superiore capacità di lettura complessiva dei fatti e in grado di proporre alle parti in causa una soluzione adeguata, a cui le stesse non sono in grado di arrivare per contro proprio.
Al presente lavoro ha dato un apporto importante il dottor Lorenzo Fiorina, psicologo, assistente nelle consulenze tecniche d’ufficio.
Al mediatore viene quindi chiesto di saper andare oltre la contesa, grazie a una superiore capacità di giudizio, ad una capacità pratica affinata nel corso degli anni, ad un senso della giustizia e dell’equità garantiti dalla statura morale ed etica del personaggio stesso e dal fatto che è parte terza, non coinvolta direttamente.
Il suo intervento non ha quindi secondi fini se non quello di riportare l’armonia e la pace all’interno della comunità stessa o tra diverse comunità.
È importante sottolineare che questi autorevoli personaggi hanno incarnato, e in alcune realtà tuttora incarnano, più di un ruolo, tra cui anche quello fondamentale del giudice, facendo sì che rivolgendosi a loro ci si sottoponesse non solo alla loro arte mediatoria ma allo stesso tempo al loro insindacabile giudizio.
L’evoluzione storica dell’occidente ha visto il formarsi di comunità sempre più allargate, nel parallelo sviluppo di una società sempre più specializzata. Il diritto quale scienza dell’uomo si è anch’esso specializzato attraverso la creazione di leggi universali, la stesura di codici scritti e l’istituzione di luoghi e figure preposte a dirimere le controversie legali. La figura del mediatore si è così scissa da quella del giudice, a cui viene richiesto, in primis, di applicare la legge secondo il “principio di giustizia”, ovvero di giusta pena. La legge diviene uguale per tutti, nella necessaria e democratica spersonalizzazione delle parti coinvolte nel processo, che deve trascendere dal singolo individuo per giudicare solamente fatti e comportamenti.
Ecco allora che il Giudice diviene colui che è in grado di interpretare e applicare la Legge e alla Giustizia si ricorre quando non c’è la possibilità o la volontà di contrattare un accordo tra le parti. Il Giudice deve stabilire chi ha ragione e chi ha torto.
Se nella mediazione non ci sono vincitori né vinti, spesso il ricorso in giudizio assume invece per le parti il carattere di una contesa nella quale “non fare prigionieri”. In realtà lo stesso ordinamento giuridico permette tuttora, in alcuni casi, al Giudice di sentire le parti e cercare preventivamente un accordo, così come gli conferisce il mandato di applicare la legge e di infliggere risarcimenti, sanzioni e pene secondo la propria personale lettura dei fatti e delle intenzioni, e quindi permettendogli, de facto, di “mediare” un giudizio il più possibile equo.
La mediazione in quanto arte del compromesso assume così un ruolo secondario, diviene fragile accordo sempre passibile di una rottura e di un successivo ricorso in Tribunale. Se, ad esempio, in campo politico o finanziario la mediazione rimane un valido istituto nella contrattazione e negoziazione di differenti punti di vista ideologici o strategici, nella attuale società fortemente individualista e antagonista segna il contrappasso a una visione del confronto più competitiva e concorrenziale, divenendo anzi agli occhi di molti una pratica machiavellica e un po' melliflua, figlia di un “pensiero debole”, che non ha il coraggio di sostenere le proprie ragioni con la dovuta determinazione e intransigenza.
Si media, in sostanza, quando non si può vincere, o quando si vuole essere risarciti, finanziariamente o psicologicamente. Di conseguenza, la mediazione è per i “perdenti”. Una visione del genere non è naturalmente priva di conseguenze, soprattutto in ambiti che riguardano la sfera degli affetti personali, come nel caso specifico della mediazione familiare.
2. I principali modelli di mediazione familiare
2.1. Mediazione strutturata
È il modello originale di Jim Coogler. È una mediazione globale, ovvero non si limita a prendere in considerazione gli aspetti emotivi e relazionali della fase di separazione, ma comprende anche aspetti pratici, quali ad esempio quelli economici. È caratterizzato da una impostazione sistemica e rigorosa, in cui il mediatore assorge a punto di riferimento per la coppia.
Alla sua base vi sono quattro principi fondamentali:
1) la maggior parte delle persone vuole agire in modo responsabile ed essere trattata con rispetto;
2) le persone che affrontano una separazione o un divorzio non sono mediatori esperti;
3) a quanti sperimentano situazioni del genere è possibile insegnare a prendere decisione razionali, anche se sono in preda al tumulto emotivo;
4) le famiglie traggono vantaggio da accordi di tipo collaborativo, mentre escono danneggiate finanziariamente ed emotivamente da trattative di tipo conflittuale.
La famiglia è vista come nucleo da ristrutturare. Le persone vanno aiutate a mantenere il controllo, la dignità, il rispetto di sé e dell’altro. Il conflitto non è utile e va superato attraverso l’assertività e la cooperazione. L’enfasi primaria è sul compito, viene incentivata l’autodeterminazione delle parti, l’orientamento è incentrato sulla soluzione del problema allo scopo di delimitare il campo stesso della negoziazione, nonché per scoraggiare la delega e bloccare l’impatto negativo dei fattori emotivi.
2.2. Modello negoziale.
Si pone come obiettivo il raggiungimento di un’intesa. Le emozioni e le variabili esterne sono considerate degli ostacoli che si frappongono al raggiungimento della meta prefissata.
Non vi è alcuna valutazione dell’accordo da parte del mediatore, che rimane neutrale (salvo palese controindicazione per una delle parti, tale da ledere i suoi diritti e i suoi bisogni). Il presupposto è infatti una fiducia di base nella capacità delle parti di scegliere in modo positivo ciò che è meglio per loro e per i minori.
È una tecnica di mediazione globale che prevede la negoziazione degli interessi (e non delle posizioni delle parti), l’utilizzo di strategie di problem-solving e di tecniche di brainstorming, presuppone il concetto di “normalità” del conflitto, implica una competenza negoziale dei clienti e incentiva il processo di self-empowerment, pone primariamente l’attenzione sul futuro (e non sul passato).
La presenza dell’avvocato è ammessa, ma solo per problemi specifici. Non sono invece previsti colloqui individuali con una delle parti in causa. Se ritenuto necessario, anche i figli possono partecipare alla mediazione.
2.3. Modello terapeutico.
Emozioni e vissuti vengono presi in considerazione e sono posti al centro, al pari dei bisogni e degli obiettivi delle parti. La mediazione tiene conto sia della rispondenza delle soluzioni adottate ai bisogni dei minori, sia dell’equità degli accordi stessi. Vengono prese in considerazione variabili personali quali l’insufficiente elaborazione del lutto per la perdita psicologica del coniuge, in quanto dinamica in grado di ridurre le competenze residue e opporsi al processo stesso di mediazione.
Per poter raggiungere gli obiettivi di un accordo equo, nel quadro di un nuovo assetto relazionale più armonico e meno conflittuale, è necessario individuare i modelli interattivi della coppia, per lavorare sulla loro eventuale disfunzionalità.
3. Punti in comune tra i diversi modelli di mediazione familiare
Analisi della domanda e verifica dei requisiti. Tutti i modelli prescrivono una prima fase (chiamata in alcuni casi pre-mediazione) in cui vengono sondate le diverse richieste e l’esistenza di caratteristiche tali da garantire il buon esito del processo (concetto di mediabilità)
Lavoro con i genitori e potenziamento delle loro competenze genitoriali e negoziali. Tutti i modelli prevedono una forma di potenziamento (empowerment, self-empowerment, plenipotenziarietà, etc.), sia sul piano cognitivo e individuale, che sul piano relazionale e genitoriale.
Intervento di breve durata. Con le dovute differenze tra modello e modello, mediamente le sedute non superano l’ordine degli 8-12 incontri, volendosi proporre come un intervento breve e fortemente focalizzato sul compito.
Accordo finale. Naturalmente ogni forma di mediazione prevede il raggiungimento di un accordo, che deve essere equo e salvaguardante le diverse parti, in primo luogo il minore. Il mancato raggiungimento di un accordo finale implica il fallimento del tentativo di mediazione. Prassi e convenienza vogliono che l’accordo venga redatto in forma scritta, in maniera da sancire attraverso un atto “formale” quanto sottoscritto tra le parti.
4. I nodi teorici che contraddistinguono i diversi modelli di mediazione familiare
4.1 Nodi concettuali
Modi di pensare al conflitto. Alcuni modelli considerano il conflitto come un evento naturale, storicamente e sociologicamente inevitabile. È necessario quindi elaborarlo e superarlo. Per altri modelli il conflitto assume una valenza esclusivamente negativa e la sua presenza nel corso del processo di mediazione può essere solamente di ostacolo al raggiungimento di un accordo finale.
Genitori responsabili vs. da responsabilizzare. Per alcuni modelli la presenza di una certa quota preesistente di “responsabilità genitoriale” è criterio di ammissione alla mediazione, per altri modelli la mediabilità non implica necessariamente che i genitori siano sin dall’inizio in possesso di questa facoltà, che si presume carente a causa della crisi in atto.
Coinvolgimento vs. non coinvolgimento dei bambini. In generale, la presenza dei bambini viene esclusa o ammessa solamente se strettamente necessaria. Differente è il punto di vista dei modelli a carattere sistemico-relazionale, che includono tutti gli appartenenti al nucleo familiare all’interno del processo di mediazione, e quindi anche i minori.
Mediatore neutrale vs. mediatore parzialmente neutrale. Nessun moderatore è sempre e comunque neutrale al 100%. Alcuni modelli, tuttavia, fanno della neutralità uno dei punti cardine della loro disciplina, altri sono più cauti, nell’implicita ammissione che spesso una reale neutralità non sia né possibile, né augurabile.
Terapeuticità della mediazione vs. mediazione volutamente “non terapeutica”. I modelli negoziali, in particolare, sottolineano l’aspetto della non-terapeuticità della mediazione. I modelli terapeutici, come è ovvio, si situano all’estremo opposto, nell’analisi di sentimenti e bisogni delle parti in causa. È bene sottolineare che nessun modello, tuttavia, si propone come alternativo alla psicoterapia. Questo introduce inevitabilmente la questione della “terapeuticità” dell’intervento mediativo, nel senso di “promozione della trasformazione” (nonostante l’affermazione di esclusione di tale concetto da parte delle scuole di mediazione). Ci pare di cogliere allora che per i mediatori l’intervento sia “terapeutico” per i legami tuttora in essere, in particolare quelli con i minore, più che per le persone in quanto individui portatori di specifici bisogni e connotati da determinati conflitti. La “trasformazione” viene promossa non in quanto augurabile maturazione dell’individuo, bensì in quanto necessaria assunzione di responsabilità e capacità di saper superare le posizioni intransigenti, alla luce di un obiettivo comune.
Possibilità di un invio ad altri tipo di intervento. In via secondaria, è possibile rilevare come per alcuni modelli la mediazione venga ad essere un intervento in grado di affrontare in senso complessivo i diversi aspetti della vita coniugale e familiare, mentre per altri modelli vi è l’assunzione che la mediazione si possa concentrare solo su alcuni aspetti specifici, nel rimandare ad altre sedi e ad altre tecniche l’intervento su una certa qualità di nodi problematici interni alla coppia.
4.2 Nodi metodologici
Mediazione globale vs. mediazione parziale; mediazione volontaria vs. mediazione coatta. Il modello negoziale rappresenta l’esempio principale di intervento a tutto campo, globale appunto, a fronte dell’intervento terapeutico, storicamente di tipo parziale, su specifici aspetti. In Italia la mediazione non è soggetta per legge ad alcuna forma di coazione, in altri paesi la mediazione è parte del corpus giuridico e il giudice può inviare la coppia ad esperire un tentativo di mediazione familiare.
Incontri individuali vs. incontri esclusivamente di coppia. Alcuni modelli prevedono, per lo più in fase di pre-mediazione, la possibilità di effettuare incontri individuali con le parti, altri modelli escludono categoricamente lo svolgimento di incontri in cui non siano presenti tutte le parti.
Inclusione vs. esclusione di figure “terze”. Alcuni modelli lasciano aperta la possibilità all’entrata in scena, anche solo temporanea, di figure terze non estranee alla crisi, quali figure parentali o nuovi compagni. La maggior parte dei modelli, tuttavia, ritiene che la mediazione vada ristretta al solo nucleo familiare (con o senza i minori).
5. Rapporti e confini tra mediazione e ambito terapeutico/giudiziario
Noi inseriamo generalmente la mediazione familiare nel più ampio novero degli interventi psicologici e, come altri interventi, è finalizzata al benessere dell’individuo, in primo luogo alla tutela del bambino, dei suoi genitori e della famiglia.
Avendo come finalità il supporto/aiuto alle relazioni familiari e la diminuzione della conflittualità, essa trova una sua applicazione in ambito giudiziario.
Può essere allora utile distinguere le interconnessioni e le specificità della mediazione, in rapporto a interventi di carattere psicologico piuttosto che in relazione ad interventi all’interno del procedimento giudiziario.
5.1 Confini tra mediazione e terapia/counseling
In tutte le elaborazioni teoriche che descrivono i diversi modelli di mediazione familiare vi è, in comune, la netta differenziazione di tale intervento dalla terapia psicologica e dal counseling psicologico.
Senza riprendere i molteplici modelli teorici, è possibile delineare le principali differenze tra mediazione e terapia. Le differenze originano dalle diverse elaborazioni teoriche sottostanti, che determinano, di conseguenza, le diverse metodologie. Profondamente diversi sono obiettive e finalità, così come la domanda iniziale; altrettanto diversi sono il contesto e il setting (tempi, modi, strumenti).
L’esigenza di meglio chiarire le differenze epistemologiche tra mediazione e intervento psicologico sorge all’interno dello stesso ambito della mediazione. Tutti gli autori, infatti, riservano una parte delle loro elaborazioni proprio nel delineare una natura e una connotazione specifica (identità) della mediazione. Questo naturalmente risponde, almeno in parte, ad una naturale necessità di affermazione di identità per una tecnica ancora relativamente “giovane”. Una certa intransigenza, rintracciabile in alcuni modelli, diviene comprensibile se letta come uno sforzo e una tensione al riconoscimento sociale e istituzionale. Lo sforzo di definire il lavoro del mediatore come una professione nuova, con una sua specificità, riflette lo stesso identico processo di pensiero.
Allo stesso tempo, è bene che il mediatore non ceda alla tentazione di voler “curare” i propri clienti. La formazione di mediatore, counselor e psicoterapeuta possono essere simili, attingendo ad ambiti teorici ed esperienziali contigui. Ciò nonostante è importante distinguere i ruoli e le funzioni di ciascuna di queste figure, che mantengono una precisa connotazione.
Già da qualche anno, diversi autori si sono dedicati ad una riflessione su differenze e aspetti in comune tra mediazione e terapia/counseling, nella constatazione di un’area di confine per certi versi sfumata e sovrapponibile, al fine di meglio chiarire le reciproche caratteristiche e identità, ma anche per ragionare su quanto possa essere mutuato dall’altra disciplina e dagli operatori che ad essa appartengono.
Secondo alcuni autori è ben delineata la differenza tra mediazione e counseling, mentre la distinzione tra mediazione e terapia non è altrettanto chiara. Altri sostengono che la mediazione è prevalentemente centrata e proiettata sul futuro piuttosto che sull’analisi delle cause passate e che il mediatore è neutrale e non usa la sua autorità sulla famiglia, come può fare un terapeuta familiare. Altri autori sono più cauti al riguardo e si limitano a sottolineare come ciò che contraddistingue la mediazione dalla terapia sia essenzialmente l’obiettivo della negoziazione di un accordo equo e accettabile.
Se l’affrontare le “questioni di carattere emotivo” comporti effetti terapeutici per la coppia, è argomento meritevole di un maggiore approfondimento. Da un lato i punti relativi alla scienza mediativa, nel suo aspetto più tecnico e metodologico, circoscrivono e delimitano professionalmente la figura del mediatore, dall’altro gli aspetti più squisitamente legati al “saper essere” e al “saper fare” il mediatore richiamano molti dei punti in comune tra mediazione e terapia.
Si vedano in tal senso, tra i requisiti richiesti ad un buon mediatore, gli aspetti di empatia, comprensione intuitiva e capacità di occuparsi delle persone, la maturità e l’esperienza di vita, e non solo le conoscenze derivate dallo studio, l’abilità nel rispondere ai bisogni emotivi delle coppie piuttosto che una certa abilità nella comunicazione.
Ne deriva che, se la mediazione è costituzionalmente diversa dalla terapia, in taluni casi il mediatore non è necessariamente così diverso dal terapeuta. Si riduce, in questi casi, la linea di confine tra un terapeuta che assuma un atteggiamento mediativo e un mediatore che, nolente o volente, inneschi trasformazioni relazionali e psicologiche (che ben possono essere definiti in qualità di effetti terapeutici).
5.2 Rapporti tra mediazione e contesto giudiziario
Come per mediazione e terapia/counseling, è bene sottolineare come la mediazione non coincida, se pur presenti punti di contatti e di sovrapposizione, con l’istituto della riconciliazione né con la consulenza tecnica d’ufficio, nell’ambito del procedimento giudiziario.
È interessante rilevare come la mediazione nasca in ambito psicologico per trovare una sua applicazione nel contesto giuridico e giudiziario, mentre la consulenza tecnica nasca in ambito giudiziario, salvo poi avvalersi dei principi e delle metodologie psicologiche.
5.3 I diversi attori e i diversi ruoli
Il Consulente Tecnico d’Ufficio può esperire un intervento mediativo alla presenza di entrambi i genitori. L’intervento mediativo in sede di ctu è ai fini stessi della perizia e di un migliore assestamento dei legami al termine della stessa. I nodi conflittuali difficilmente possono essere superati, né il Ctu ha mandato da parte del Giudice a lavorare in tal senso. Tuttavia il benessere primario dei minori può spingere le parti in causa verso uno scopo comune e una migliore presa di coscienza dello stato delle cose e delle decisioni del Giudice, di modo da favorire un successivo stabilizzarsi delle relazioni.
Inizialmente la mediazione si è posta come intervento antitetico alla consulenza tecnica, considerato come luogo in cui si manteneva la conflittualità tra i coniugi, sancendo come contrapposte le posizioni individuali delle parti, tese a portare elementi a supporto e sostegno delle proprie affermazioni. La struttura stessa dell’iter giudiziario della separazione spesso finisce per alimentare il conflitto, rendendolo più acuto. Il Ctu, inoltre, veniva considerato come una sorta di giudice travestito da psicologo nel prendere decisioni al posto della coppia.
Nel corso del tempo si è avviata una importante riflessione sulle potenzialità della consulenza tecnica, rintracciandole nella possibilità di intervenire sulle coppie non mediabili.
Nel ribadire le differenze e nel sottolineare le aree di sovrapposizione, occorre allo stesso tempo una riflessione circa le aree potenziali di reciproca integrazione, nel tentativo di meglio definire ciò che ognuna delle due differenti tecniche può offrire all’altra. Spesso la ctu costituisce un momento importante che prelude ad altre forme d’intervento, all’interno di quello che si configura come un percorso che la coppia compie nel trattare la separazione. Altrettanto spesso può essere necessario o opportuno introdurre elementi della mediazione, ovvero tecniche mediatorie, al fine di migliorare il clima di lavoro e, obiettivo non secondario, introdurre un elemento di tutela del minore, non solo nel “valutare” ma anche nell’”avviare” un processo trasformativo. Pur rimanendo il compito prioritario della Ctu fornire un’analisi e una valutazione del bambino e dei suoi genitori, può essere ravvisata come finalità altrettanto importante quella di permettere a questi ultimi una lettura diversa del conflitto, con una trasformazione delle dinamiche relazionali a tutto vantaggio del minore.
I Servizi possono assolvere alcune funzioni, disponendo interventi precisi:
- sostegno e aiuto nella regolamentazione dei rapporti tra minore e ciascuno dei suoi genitori;
- sostegno e aiuto nel mantenimento o ripristino della comunicazione tra i genitori separati;
- regolamentazione, effettuazione e monitoraggio degli incontri in Spazio Neutro;
- interventi di sostegno individuale a ciascuno dei genitori, al fine di contenere e ridurre la conflittualità.
Tali interventi presentano dei punti di contatto con la mediazione.
Il Giudice Onorario è una figura che assomma una doppia competenza, psicologica e giuridica, e pertanto si muove su un doppio binario. Nel suo intervento può rientrare un’area mediativa nell’assunzione di un habitus mentale quando esperisce dei tentativi di mediazione, ad esempio in fase istruttoria o durante i colloqui con le parti, con l’obiettivo di comporre il conflitto per far raggiungere accordi condivisi. Lo scopo prioritario di tutelare il minore può, da un lato, rendere opportuno il tentativo, in altre situazioni può tuttavia renderlo impossibile o controindicato.
Il Giudice Togato (della Separazione e Tutelare): il Giudice della Separazione può esperire un tentativo di riconciliazione (spesso è tuttavia un atto meramente formale), oppure mediare le posizioni, nell’intento di conciliare le diverse istanze, pur sempre tenendo presente il suo compito prioritario, che è quello di decidere. In presenza di un potenziale ricorso, può invitare i coniugi a raggiungere un accordo consensuale. Il Giudice Tutelare, nella parte del suo lavoro che riguarda il rispetto degli accordi della separazione, sempre alla luce del suo compito primario di tutela del minore, si ritrova spesso a effettuare il tentativo di mediazione tra richieste diverse, che riflettono esigenze e visioni contrapposte. Non applica una metodologia mediativa in senso stretto, ma l’autorevolezza che discende dal suo ruolo di terzo può richiamare e riportare i genitori al rispetto degli accordi precedentemente assunti, dei diritti e delle esigenze di crescita del figlio.
L’Avvocato, se formato in qualità di mediatore all’interno di modelli che prevedono la co-mediazione, svolge ufficialmente una funzione di supporto nel processo di mediazione. Qualora non sia coinvolto ufficialmente nella mediazione, in ambito stragiudiziale può portare i coniugi a un accordo consensuale, operando in via esclusiva con gli stessi o interagendo con l’avvocato della controparte. All’interno dell’iter giudiziale, pur non trascurando le esigenze di strategia processuale, può aiutare il proprio cliente a tenere sempre a mente i bisogni primari del minore, portandolo a mediare tra le proprie esigenze/richieste e quelle della controparte.
5.4. Distinzione tra “mediazione” e “intervento mediativo”/“spirito mediativo”
La mediazione familiare è un intervento da parte di un operatore formato, con specifici obiettivi, in determinati contesti, all’interno di una particolare cornice teorico-metodologica.
L’intervento mediativo non presuppone una formazione specifica, ma una competenza e una capacità di lettura delle dinamiche psicologiche, non necessariamente all’interno di una pratica e prassi professionale di mediatore familiare. Si pone come obiettivo, una volta verificati gli spazi e la possibilità, di aiutare le parti a raggiungere dei punti di accordo, senza raggiungere un consenso necessariamente globale, ma perlomeno pervenendo ad una visione condivisa del figlio.
Sott’obiettivo di certa importanza può essere quello di migliorare il clima relazionale, ovvero ridurre la conflittualità e fornire una prima esperienza di collaborazione, o quantomeno di far esperire alle parti un dialogo costruttivo, non inquinato da un alto livello di conflittualità. In particolare può costituire un punto di arrivo di straordinaria importanza la dismissione dell’atteggiamento più dannoso per i soggetti coinvolti, soprattutto i figli, consistente nel far un uso strumentale di ogni comunicazione sul minore e sulla situazione familiare, passo indispensabile per una autentica assunzione di responsabilità.
Lo spirito mediativo non presuppone il possesso di competenze tecniche specifiche né mediative, né psicologiche, ma non può prescindere dall’adesione ad un habitus mentale che si basi sui principi stessi della mediazione, oltre che da una sensibilità personale e una buona conoscenza delle dinamiche familiari.
6. Punti “certi”
Da quanto detto finora si possono trarre alcune conclusioni, che individuano dei punti “certi”. Dalla mediazione è possibile ricavare importanti spunti che trovano una loro utile applicazione nel dispiegarsi dei diversi possibili interventi nel campo della separazione e del divorzio.
· Focalizzazione sul concetto di “coppia genitoriale” in relazione a ruoli, funzioni, immagini, nello statuire come importante la distinzione tra area della relazione di coppia e area della relazione genitoriale. La focalizzazione comporta la valutazione della permanenza all’interno della coppia di un’area genitoriale comune preservata dal conflitto e la verifica della presenza di un’immagine interiorizzata del bambino condivisa e condivisibile.
· La conseguente individuazione delle “risorse genitoriali” e la progettazione di un eventuale intervento finalizzato al recupero/mobilitazione/sviluppo delle stesse risorse.
· L’adozione di uno “spirito mediativo”, come impostazione mentale dell’attore in gioco, nella sua modalità di approccio al lavoro giuridico, in assenza di una adesione teorica e pratica alle tecniche mediative, si configura quale vera e propria attitudine mentale, che può fornire a genitori e bambino un contesto mentale alternativo a quello conosciuto e sperimentato, vicariante di una “mente” genitoriale carente e tale da contenere il bambino e la sua psiche (emotività, affettività, relazionalità).
7. Spunti di riflessione e questioni aperte
· Come si concilia l’esclusione ideologica di una formazione psicologica con lo sviluppo di competenze di lettura psicologica, affermata sempre più da molti orientamenti di mediazione, con l’effettiva riuscita della mediazione?
· Come è possibile allora formulare una “prognosi di coppia”, per quanto riguarda la coppia genitoriale (e non la coppia coniugale), passo importante per effettuare un’adeguata stima della tenuta nel tempo dei risultati raggiunti in mediazione? E come, al contrario, valutare le forze inerziali che tendono a mantenere la qualità della dinamica relazionale di coppia sostanzialmente inalterata nel tempo, a fronte di mutamenti solo apparenti?
· Come evitare il rischio di una “mediazione interminabile”, se non si pone attenzione alla effettiva trasmissione degli strumenti, ovvero a una concreta acquisizione della metodologia della mediazione da parte della coppia genitoriale? Il rischio è che l’accordo risulti contestuale all’esito della mediazione, che avviene in un momento particolare, di crisi e di conflitto, qual è la fase separativa. Come si può sapere se l’accordo è veramente adeguato per i genitori e per i bisogni del bambino, non tanto nel lungo periodo, ma già a distanza di qualche mese?
· Da cui consegue: quale reale tutela del minore, in mancanza di una conoscenza diretta dello stesso, attraverso una valutazione della sua personalità e degli eventuali disagi?
· Quante e quali coppie sono mediabili? Quali no? Quali sono i requisiti iniziali essenziali per poter dare avvio a un processo di mediazione? Come affrontare le difficoltà che molte coppie presentano nel non voler escludere il contesto giudiziario nella fase di mediazione? Nell’esperienza giudiziale è regolare e frequente l’incontro con coppie che non riescono a rinunciare ad esprimere in ambito giudiziario la loro conflittualità, finendo per essere classificate come “non mediabili”. La mediabilità pare restringersi alle sole coppie “normalmente sane” (le quali presentano a loro volta dei problemi duranti i passaggi di vita “critici”, nella naturale e costante evoluzione che ogni nucleo familiare presenta). Cosa ne è di quelle “non mediabili”? Quale intervento di aiuto si può ipotizzare e predisporre per loro? Può essere utile pensare a un intervento mediativo o a una qualche forma di intervento permeata da spirito mediativo?
· Per quale ragione non può essere presa in considerazione, in una primissima fase processuale, la mediazione “coatta” per tutte le coppie, a maggior ragione per quelle non plenipotenziarie? Oppure, se si accetta l’idea di escludere la mediazione, quale intervento si può predisporre per esse, alla luce anche del rischio di dispersione, della carenza supportiva, dell’incancrenirsi della situazione conflittuale, del dispendio di energia e soldi se si deve ricorrere a una ctu?
· Se il conflitto è ineliminabile, come garantire al bambino almeno due genitori, se non è possibile una coppia genitoriale?